sabato 5 settembre 2009

1. Aspetti generali

1.1. L’Età dei Metalli
Il periodo che va da 5.500 a 2.600 anni, fa è caratterizzato dalla scoperta dei metalli ed è perciò chiamato Età dei Metalli. I primi metalli che l’uomo impara a riconoscere, estrarre e lavorare, il rame e l’oro, sono particolarmente adatti a realizzare oggetti ornamentali e utensili, che costituiscono più un simbolo di status sociale e di prestigio che oggetti di reale utilità pratica. Solo con la scoperta del bronzo, una lega composta di rame e stagno, si disporrà di un metallo avente caratteristiche meccaniche idonee a costruire punte di frecce, asce, pugnali e lance: nascono così le prime armi metalliche. Dopo la scoperta del ferro, risalente a poco prima di 3 Kyr fa, si cominciano a costruire armi con questo nuovo metallo, che si rivela superiore al bronzo e lo soppianta. Insieme ai metalli si vanno affermando nuove figure di lavoratori, come il prospettore e il fabbro, e nasce la metallurgia. Il prospettore esegue ricerche sul terreno finalizzate ad individuare i giacimenti del metallo, che poi viene estratto da squadre di operai e quindi affidato al fabbro, il quale lo ammorbidisce alla fiamma e infine lo forgia, oppure lo fonde al calore e lo cola in appositi stampi in pietra al fine di realizzarne l’oggetto desiderato.
Armi più potenti significano maggiore forza difensiva e offensiva e quindi possibilità di costruire città sempre più grandi e fortificate e maggiori possibilità di lanciarsi in guerre di conquiste. Ma col metallo si costruiscono anche utensili e arnesi di lavoro sempre più perfezionati e robusti, con conseguente incremento della produzione e del surplus. Adesso il re può permettersi un maggior numero di servitori, artigiani, funzionari e, soprattutto, un maggior numero di uomini ben armati, può ingrandire e abbellire il suo palazzo con fregi, decorazioni e opere artistiche di vario genere e può anche impiegare stabilmente un certo numero di persone in attività amministrative e contabili.

1.2. La scrittura
Ben presto questi ultimi inventeranno alcune forme di scrittura simbolica, dando il via ad un’inarrestabile evoluzione culturale e inaugurando un nuovo periodo, che chiamiamo “storia”. L’importanza della scrittura è così straordinaria che forse è preferibile ricordare questo periodo come Età della scrittura. Gli unici popoli che inventano autonomamente la scrittura sono, certamente, i sumeri e i maya e, probabilmente, anche gli egizi e i cinesi. Tutti gli altri sistemi di scrittura derivano da questi.
In una prima fase la scrittura svolge funzioni essenzialmente di tipo contabile e solo in un secondo tempo comincia a diffondersi una scrittura nuova, che possiamo definire ideologica, che compare, per la prima volta, in luoghi pubblici, come il frontone di un tempio, il piedistallo di una statua, un cippo o una stele. Si tratta di brevi testi, per lo più nomi di divinità e di sacerdoti-re, che sono associati ad un qualche fatto o avvenimento memorabile. Per esempio, si possono leggere semplici frasi del tipo: “Il dio Tale rende fertili i campi”, “Il dio Talaltro benedice il suo sacerdote-re”, “Il sacerdote-re ascolta la parola del dio”, “Il re Vattelapesca ha liberato il suo popolo dai nemici”, e, a causa del generale analfabetismo, ma anche per ragioni estetiche, si suole associare al testo una qualche immagine. Col passare del tempo, gli stessi simboli vengono utilizzati per esprimere concetti astratti sempre più complessi, raccontare le origini di una città o di una famiglia o di un dio, ricordare una battaglia, un matrimonio, una nascita, una donazione, un contratto di compravendita, un ordine del re, una legge e altro ancora. A poco a poco la scrittura diventa non solo la memoria storica di una città o di una dinastia o di un panteon, ma anche un mezzo funzionale alla legittimazione del potere politico.
La scrittura costituisce un’esigenza della classe dominante, che si serve di essa per tenere conto dei tributi da riscuotere. È per questo che quei pochi che sanno scrivere (e leggere) sono ripagati lautamente dal re per il servizio che gli rendono. Il fatto che le prime forme di scrittura siano piuttosto complesse da riprodurre, non solo non viene visto come problema, ma, anzi, conferisce alla scrittura stessa la dignità di un’arte sacra, quasi divina, limitata ad una ristretta élite. Solo col passare del tempo, la scrittura verrà impiegata per la propaganda politica, ma, perché questa funzione possa risultare efficace, sarà necessario che, almeno una minoranza agiata del popolo, sia in grado di comprenderla. Da qui nasce l’esigenza di semplificare i simboli grafici e di creare alfabeti con poche decine di lettere, facili da riprodurre e accessibili a tutti. Da questo momento la scrittura verrà usata anche dai ceti abbienti, che se ne serviranno per poetare o filosofare, ma anche per criticare la politica della classe dominante.

1.3. I primi Stati
Grazie alle attività di guerra, alla nuova tecnologia e alla scrittura, possono sorgere i primi Stati, che nascono dalla fusione di molte tribù sotto un unico capo e sotto la spinta di minacce esterne o nell’euforia di una guerra di conquista. Grazie agli eserciti e alle religioni istituzionalizzate, si può allargare il dominio fino a creare Stati molto estesi, con milioni di abitanti, dove i villaggi sono diventati città. I primi Stati sorgono nella Mezzaluna Fertile (5,5 Kyr), in Mesoamerica (2,3 Kyr), sulle Ande, in Cina e nel Sudest asiatico (2 Kyr). I conflitti interni sono controllati dalla volontà del sovrano o del sacerdote, dalla legge, dal sistema giudiziario o dalla polizia, che sono, a loro volta, sottoposti alla supervisione di un dio.
Dalla partecipazione congiunta fra re e funzionari, e grazie all’ausilio tecnico della scrittura, prende origine la burocrazia. “La burocrazia nasce dalla logica dell’organizzazione sociale su larga scala […]. Essa nasce anche dal potere, dal dominio di uno o di alcuni sopra i molti, dove quel dominio richiede degli agenti, interpreti fedeli della volontà del sovrano, che eseguano gli ordini, che traducano in realtà le aspirazioni” (ALBROW 1991: 591).

1.4. I miti di legittimazione
Alla fine del Neolitico, gli esempi di scrittura sono ancora rari e la maggior parte dell’informazione viene trasmessa per via orale sotto forma di racconti e miti, proprio mentre si fa sempre più forte l’esigenza della legittimazione del potere, non tanto quello del sacerdote, che rappresenta l’autorità tradizionale, quanto quello del re e dei signori locali, che rappresentano gli ultimi arrivati. Occorre spiegare, cioè, perché quel re è davvero un grande uomo o perché quel signore ha veramente diritto a disporre delle sue proprietà e ad esercitare un potere su altri. A ciò provvedono i racconti e i miti creati dagli scribi di corte allo scopo di legittimare il potere dei clan dominanti. Il processo di legittimazione non solo crea le condizioni favorevoli alla stabilità politica, ma contribuisce anche a rendere desiderabile lo status quo ed esecrabile il cambiamento.
Ora, questa legittimazione viene sì dal sacerdote, ma dev’essere formalizzata dallo scriba, che è chiamato a raccontare la nascita e le imprese del personaggio fondatore di quel potere politico. Se il compito dello scriba consistesse nella ricostruzione fedele di una biografia, la sua impresa sarebbe pressoché impossibile, dal momento che è assente la cultura dell’anagrafe, della schedazione e dell’informazione, mancano dati certi sulle vite delle persone e non c’è modo di venire a capo di alcunché. Il compito dello scriba diviene agevole, e per certi versi anche piacevole, perché a lui non si richiede un racconto veritiero, quanto piuttosto un’apologia, un elogio incondizionato del dinasta, senz’altra preoccupazione che fare risaltare la grandezza e la singolarità della sua stirpe.
Alla fine, quello che ne risulta è una storia mitica, che si perde lontano nel tempo e riconduce ad una qualche divinità. Il messaggio è semplice e chiaro: la dinastia che oggi è al potere ha origine divina e, pertanto, è legittimata a governare senza condizioni. Questo messaggio viene ripetutamente declamato in varie forme nelle grandi occasioni o nel corso del cerimoniale di palazzo. Saranno poi alcuni personaggi, non necessariamente alfabetizzati, ma particolarmente sensibili e avvezzi a muoversi incessantemente da un luogo all’altro, come pastori e mercanti (in futuro essi saranno chiamati aedi o cantori), a diffondere oralmente ciò che hanno udito all’interno dei palazzi, e da cui sono rimasti impressionati. È così che, alla luce degli equilibri di potere del momento, si creano e si diffondono i racconti mitici e si plasmano incessantemente le tradizioni. Sotto questo aspetto, la funzione svolta dagli scribi è davvero cruciale. I re comprendono ben presto quale importanza abbiano gli scribi anche ai fini politici e incoraggiano la loro opera. Si diffondono così, all’interno del palazzo, le prime scuole di scrittura, che lavorano al servizio del re e di una ristretta cerchia di suoi amici e parenti.

1.5. Le prime leggi
Non solo le gesta del sovrano, ma anche le sue volontà, gli scribi riportano su tavole di legno o di pietra, su stele o cippi, che poi fanno collocare in luoghi particolarmente frequentati o transitati, perché siano ben visibili a tutti. Inizialmente i simboli grafici incisi sono scarni ed essenziali, sia per la difficoltà tecnica di riprodurli, sia perché quasi nessuno è in grado di leggerli. Gli scritti sono del tipo: “Chi varca questo sacro confine sia maledetto”, “Questa è la terra di Cielo Stellato”, “Il re è figlio del dio”, “Il re è padre del suo popolo”, “Inchinati davanti al tuo re”, “Se non temi il tuo re, sarai colpito dalla collera del dio”.
In realtà queste prime forme di scrittura sono indirizzate innanzitutto ai potenti, a quei pochi cioè che sanno leggere o che dispongono di qualcuno in grado di farlo e, solo secondariamente, a tutti gli altri, col semplice scopo di stupirli. E, infatti, proprio a causa della loro oscurità, quei segni finiscono per essere interpretati dai più come di origine divina e guardati con meraviglia. In ultima analisi, la simbologia grafica serve a mettere in chiaro chi comanda e contribuisce a stabilizzare i rapporti di potere e la gerarchia sociale. Non si può ancora parlare di codici di norme o di leggi sistematiche, che si potranno affermare solo quando l’alfabetizzazione diventerà accessibile a larghi strati della popolazione, ma solo di passi in questa direzione.

1.6. Stati e tribù
Se le città vivono la loro straordinaria avventura e si pongono, grazie anche all’invenzione e alla diffusione della scrittura, al vertice dello scenario politico, nell’Età dei Metalli le tribù non solo non scompaiono ma, per molto tempo ancora, continueranno a rappresentare il secondo centro di potere. Quando entrano in conflitto con una città, alcune di esse si uniscono in leghe e, sotto la guida di un capo comune, possono vivere il loro momento di gloria, riuscendo ad imporsi e dominare. Più spesso invece la città resiste e, talvolta, accade che un re riesce a soggiogare numerose città e a fondare un impero e/o di una civiltà. Tra le civiltà affermatesi nell’Età dei Metalli ne ricorderemo solo alcune, come l’egizia, le mesopotamiche (sumera, babilonese, assira), l’ebraica e poche altre ancora. Ciascuna di esse ha risposto, in un modo proprio, agli stessi problemi. Vediamo come.

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