sabato 5 settembre 2009

8. Gli Ittiti

La civiltà ittita trae origine da alcune tribù nomadi (Luviti, Nesiti, ecc.) provenienti dai Balcani e dall’Asia che giungono in Anatolia, circa 4000 anni fa, portando con sé il cavallo, animale sconosciuto in quell’area, che si rivela determinante per la conquista. Duecento anni dopo, queste tribù vengono unificate ad opera di un certo Anittas, ma in modo non stabile. Dopo un altro secolo di lotte fra i vari signori, infine un’unità stabile viene realizzata da Tabarnas (1680-50), che è considerato il fondatore dell’antico impero ittita, un impero in grado di durare per circa seicento anni, ma sul quale possediamo informazioni particolarmente scarse, anche a causa delle difficoltà che si incontrano per decifrarne la lingua, che è diversa sia da quella egizia che da quella sumero-accadica.
Gli succede Hattusilis I, che fonda la capitale Hattusa (1650) e getta le basi di un particolare ordinamento politico, che spicca per la presenza di un’istituzione “democratica”, prima sconosciuta, ossia un Consiglio dei nobili, che limita i poteri del re. I nobili, riuniti in assemblea, eleggono il sovrano in funzione delle sue qualità e attitudini al comando e gli giurano fedeltà in cambio di determinate concessioni, quali il diritto di sfruttare un certo territorio, di comandare i propri contingenti in caso di guerra, e altro ancora.
Ne risulta una società con un’impostazione di tipo feudale. Ogni signore è sovrano nel proprio territorio e vi esercita tutti i poteri. Solo in vista di importanti imprese militari i signori ittiti uniscono le loro forze a quelle del re e combattono come un sol popolo. Il potere del re è limitato non solo dal Consiglio, ma anche da altri fattori, come il rigido cerimoniale di corte, il potere accordato alla regina e il prestigio della classe sacerdotale, che gode di importanti privilegi fiscali e giuridici e che esercita anche poteri civili. Pur assumendo nomi divini, al pari dei re degli stati vicini, i sovrani ittiti non si identificano affatto con la divinità. “Solo dopo morto un re diventa dio” (LEHMANN 1986: 197). I sovrani ittiti sono solo uomini e, in un impero plurinazionale, la loro autorità è continuamente minacciata e messa in discussione. La morte del re è spesso seguita da lotte per la successione, che lacerano il tessuto sociale e indeboliscono il sistema. La debolezza dell’istituzione monarchica è tale da condurre all’instabilità politica e si rivelerà una delle principali cause della decadenza ittita.
Mursilis I (1620-1590) riesce sì a conquistare la Siria e Babilonia, ma non a contenere le mire indipendentiste dei singoli signori e, alla fine, viene ucciso. Si apre così un periodo di crisi, che è caratterizzato da lotte intestine per il potere, cui cerca di porre un freno Telepinus (1520-1490), il quale, al fine di mettere ordine in un sistema sociale tendenzialmente instabile, emana un codice di leggi, che regola, fra l’altro, la successione al trono, introducendo il principio della monarchia ereditaria. Ma ciò non sortisce l’effetto sperato e non basta ad evitare che gli Ittiti debbano subire la dominazione di un’altra potenza emergente, quella degli Hurriti, una casta guerriera di provenienza asiatica, che si insediano in Mesopotamia, dove fondano il regno di Mitanni (1600). Approfittando della politica imperialistica del faraone Tutmosi III, che indebolisce il Mitanni, gli Ittiti riacquistano la propria indipendenza e, con Tudhalija (1480-40), fondano il nuovo impero, che raggiunge il suo apogeo sotto il regno di Suppiluliumas (1380-46), il “Grande Ittita”, che estende il suo potere sul Mitanni. L’impero ittita viene travolto dai Popoli del mare intorno al 1200 e scompare letteralmente dalla storia. Gli stessi greci “non sapevano nulla degli Ittiti” (LEHMANN 1986: 284).
A parte la particolare concezione della monarchia, la civiltà ittita non presenta caratteri originali e creativi. La principale preoccupazione dei sovrani ittiti è quella di tenere uniti sotto il proprio controllo popoli diversi per lingua e cultura. A tale scopo, essi attuano una politica di mano tesa coi popoli sottomessi, che non vengono schiavizzati, ma elevati al rango di vassalli. Il diritto ittita si distingue per la sua mitezza: per la maggior parte dei reati, la legge prevede risarcimenti in denaro o in natura. L’economia è fondata principalmente sull’agricoltura, ma un posto di rilievo è occupato anche dall’industria mineraria e dal commercio. Gli Ittiti sono uno dei primi popoli a possedere armi di ferro e carri, e ciò conferisce loro un vantaggio iniziale. In seguito potranno contare sulle eccellenti qualità dei loro strateghi militari.
Al pari dei Babilonesi, gli Ittiti tollerano le differenti culture dei popoli dominati e le integrano con la propria. Si dice che essi sono soliti portare in patria, come bottino di guerra, anche i simulacri delle divinità dei popoli vinti, che introducono nel proprio pantheon, collocandoli accanto ai propri dèi, ne mantengono il nome originario e ne fanno oggetto di culto, ritenendo che le divinità straniere così catturate passano dalla parte del vincitore e si mettono al suo servizio. Gli Ittiti manifestano un profondo sentimento religioso, che poggia sulla credenza che le disgrazie e le malattie degli uomini sono castighi divini, di tutte le divinità esistenti, e si possono evitare per mezzo di purificazioni, sacrifici, preghiere e formule magiche. Perciò il culto è molto importante: esso svolge la funzione di accattivarsi i favori della divinità e di allontanare i mali.

Nessun commento:

Posta un commento